ANDREJ ŠKUFCA, KATRIN EULLER E MIRIAM STONEY: INTRUSI, NON INVITATI NEL CAOS |
(o i Protocolli di Petola: Note verso un’intelligenza viscida)
(o Non è da noi) |
13.06.2025 – 24.08.2025, Galleria Monfort, Portorose & Galleria Loggia, Capodistria | A cura di Laura Amann Marìn.
Inaugurazione: venerdì, 13.06.2025, Galleria Monfort, Portorose, alle ore 19.
Conferenza stampa: giovedì, 12.06.2025, Galleria Loggia, Capodistria, alle ore 12.
Introduzione istituzionale: Mara Ambrožič Verderber
Coordinazione: Ana Papež
Logistica e allestimento tecnico: Niko Mally, Erik Malnar, Janko Atelsek, Rok Horvat
Ringraziamento speciale: Neja Zorzut, Martina Vovk, Borut Jerman
Produzione: Gallerie Costiere Pirano 2024/25
Con il supporto di: MG+MSUM Lubiana; Zavod Projekt Atol, Ljubiana; Galerija New Jörg, Vienna; Ravnikar Gallery, Kucca, Zagabria

Andrej Škufca, Solaristika I, video, 2025.
Courtesy: l'artista.
INTRODUZIONE
Di Mara Ambrožič Verderber, direttrice delle Gallerie costiere di Pirano
Con il progetto “INVADERS, UNINVITED TO CHAOS," Andrej Škufca prosegue la sua pratica di tematizzazione degli aspetti infrastrutturali della tecno-ecologia globale, in cui finzione, progettazione tecnologica e processi di produzione industriale di materiali sintetici si combinano in senso sia simbolico che materiale.
La mostra di Andrej Škufca fa parte del programma di mostre di rilevanza nazionale che, in conformità con la strategia dell'Agenzia slovena per il patrimonio culturale, presentano al pubblico artisti sloveni contemporanei che utilizzano strumenti innovativi e metodi creativi avanzati. Andrej Škufca appartiene alla generazione intermedia di autori sloveni che, da oltre un decennio, si impegnano in modo significativo nei cambiamenti nel campo dell'arte contemporanea slovena.
Con la mostra di Andrej Škufca, intendiamo coinvolgere il pubblico della regione del Litorale nella comprensione di nuovi approcci alla scultura e ai progetti spaziali da una prospettiva del XXI secolo. Le opere d'arte in mostra esploreranno l'apparente autonomia di sistemi sempre più interconnessi a livello globale e la loro proliferazione. Con riferimenti alla modernità post-orientale e post-reale, il progetto esaminerà criticamente il ruolo dell'essere umano nella cosiddetta “est."
Nelle sue opere, Škufca mette in discussione le conquiste sociali e tecno-scientifiche e la loro relazione con il “presente digitalizzato." A quanto pare, la tecnologia interferisce sempre di più con le nostre vite e le trasforma. A causa di questa bipolarità della rivoluzione tecnologica avvenuta nel XXI secolo, una generazione di giovani artisti visivi (per esempio, quelli nati dopo il 1980, che non hanno avuto l'opportunità di realizzare grandi mostre indipendenti su scala nazionale nell'ultimo decennio) la riconosce come propria e come una caratteristica fondamentale, ma problematica, del tempo in cui vivono.
Per questo scopo, verranno organizzati workshop multimediali con l'artista e vari gruppi, nonché presentazioni pubbliche rivolte al grande pubblico. La mostra, definita come una grande installazione spaziale di sculture di eccezionali dimensioni, collegherà lo spazio in una rete di oggetti accattivanti, in cui grandi sculture autoportanti creeranno un sistema connesso.
Per questa produzione dell'OGP, ci siamo messi in contatto con centri di belle arti correlati in Slovenia e in Europa (Zavod Projekt Atol, Lubiana; MG+MSUM Lubiana; Galerija New Jörg, Vienna; Galleria Ravnikar, Lubiana; Kucca, Zagabria), con i quali ci impegniamo a garantire che la mostra “circoli" nel prossimo periodo del 2025.
La mostra personale sarà allestita presso la Galleria Monfort di Portorose e presso lo spazio espositivo della Galleria Loggia di Capodistria dal 12 giugno al 24 agosto 2025. La mostra è curata dalla rinomata curatrice Laura Amann.
Andrej Škufca (1987) è un artista visivo e membro della redazione della rivista Šum. Le sue opere sono state presentate, tra l'altro, al Museo Nazionale delle Arti del XXI secolo MAXXI di Roma; al Museo Ludwig di Budapest; al Centro Nitja per l'Arte Contemporanea di Oslo; al Museo d'Arte Contemporanea Metelkova e alla Galleria Moderna di Lubiana; alla Galleria d'Arte di Maribor; e alla 34a Biennale di Arti Grafiche di Lubiana (MGLC).
TESTO CRITICO
Di Laura Amann Marín
“Nessuna delle forme insensate che ho visto quella notte corrispondeva alla figura umana o a qualsiasi uso concepibile…”
— Jorge Luis Borges, “Ci sono altre cose”
E se la telepatia non fosse fantascienza, ma la base dell’esistenza — un barlume preverbale che pulsa sotto il linguaggio, la logica e persino l’amore? Non la versione cinematografica, tutta lettura della mente ed ESP militarizzata, ma qualcosa di più strano: una forma di conoscenza ambientale, di sintonizzazione sugli schemi che precedono la parola. I bambini talvolta vivono lì. Così anche i polpi. Percezione dello spettro, logica onirica, le reti fungine — tutto che opera su frequenze al di fuori della larghezza di banda normativa.
E se quelli che provano a parlarci non fossero nemmeno ‘umani’ o non importasse loro della nostra percezione?
Nei film fantascientifici Solaris (1972), Stalker (1979) e Annientamento (2018), le entità aliene non invadono —persistono. Esse irradiano intelligenza non tramite il dialogo ma tramite il paesaggio, il ritmo, la mutazione. Non vogliono distruggerci. Non vogliono essere noi. Potrebbero anche non accorgersi di noi. E forse è la cosa più terrificante di tutte. Destabilizzano non con la violenza, bensì con la forma. Operano sulle atmosfere più che sugli argomenti.
Adesso immaginate come questo tipo di coscienza lenta, ambientale e insondabile esista non nello spazio profondo, ma in un luogo leggermente meno drammatico— ad esempio tra Capodistria e Pirano.
Ed è fatto di melma.
Petola, la pelle vivente delle saline di Sicciole, è un tappeto macrobiotico di cianobatteri, diatomee e alghe coltivato attraverso i secoli di cura incarnata. È al contempo infrastruttura, archivio e silenzioso collaboratore. Senza di esso, la tradizionale produzione di sale — artigianale, stagionale, gloriosamente improduttiva per gli standard capitalisti — non funzionerebbe. Fa la sua cosa. È memoria materiale — essenziale e viva.
Questa mostra parte dal sospetto che non siamo soli — non nel senso extraterrestre del termine, ma in quello epistemologico. Che ci siano cose nel nostro ambiente immediato — microbico, architettonico, minerale — che hanno un’intenzione o una risonanza che va al di là dei nostri schemi di comprensione. Che la costa stessa possa tentare di dirci qualcosa. La domanda non è se possiamo capire, ma se possiamo imparare ad ascoltare diversamente.
Come i mobili dal nulla di Borges o il luccichio in Annientamento di Garland, Petola resiste alla categorizzazione. È viva, ma non espressiva; coltivata, ma non posseduta. È un testimone appiccicoso di secoli di lavoro umano, rituali di sale e intrecci ecologici. Incarna l’impossibilità che “il naturale” esista separatamente da “il culturale”. Resiste allo sguardo estrattivo. Insiste sul mantenimento come modalità di relazione. È, abbastanza letteralmente, un argomento scivoloso.
Nel frattempo, appena sotto la costa, Luka Koper orchestra la sua stessa coreografia — di gru, container, merci e auto. Se Sicciole è un potere lento, Capodistria è logica veloce: 24/7 in piena fioritura capitalistica. Qui, l’infrastruttura non brilla — urla. È estrattiva, efficiente, scalabile. Il porto e le vasche formano una dialettica costiera: due visioni del futuro, due temporalità, due tipi di intelligenza.
La mostra in due parti Intrusi, non invitati nel caos mette in scena questa tensione in un incontro architettonico, tipologico e sociopolitico tra un ex magazzino del sale di grandi dimensioni sul litorale di Portorose e un palazzo in stile gotico veneziano sulla piazza principale di Capodistria — il primo un punto di concentramento del lento potere salino e il secondo un centro di rappresentanza, della vita commerciale e sociale.
Le opere di Andrej Škufca, Katrin Euller e Miriam Stoney formano un paesaggio alieno che ricorda questa dialettica costiera. È diventato parte del suo DNA, della sua conoscenza, della sua coscienza — ma non è più lo stesso. Questo paesaggio pulsante ricorda la paziente produzione della petola e l’inquieto frastuono del porto come qualcosa che conosceva bene nel passato. Ma il paesaggio si è evoluto — senza di noi, nonostante noi, senza essere disturbato da noi — e nei momenti melanconici esso condivide la sua ode elettronica a una natura che non è mai esistita o che è ora scomparsa.
Gli interventi scultorei di Škufca suggeriscono utenti o casi d’uso alternativi: astratti, insostituibili, leggermente minacciosi? Forse mobili per specie sconosciute, macchine per o da un differente modo di vivere — non sappiamo. Sono protesi speculative, funzionali in modi illeggibili o disfunzionali in modi leggibili. L’installazione sonora di Eullerrende l’artificiale in overdrive, creando risonanza speculativa e una fitta nebbia acustica — non un ambiente come sfondo, ma come matrice che ci avvolge. È una zona in cui ci si muove o che si muove attraverso di noi. Nel frattempo, i brevi testi di Stoney si muovono tra narrativo e non-narrativo, inferenza e rifiuto. Essi non spiegano; traducono — non in un linguaggio chiaro e noto, ma come un segnale radio instabile e aritmico. Ma: non è il medium il messaggio in ogni caso?
Insieme, queste opere evocano una sorta di ‘strano realismo filosofico’ di Petola. Non simbolismo, non allegoria, ma prossimità a una presenza che non si rivela. Non romanticizzano l’alieno. Stanno con esso. Non domandano cosa esso significhi. Domandano come stare con esso, nonostante non sappiano cosa sia. E se la politica più radicale di oggi non fosse la padronanza, ma il mantenimento? Non la conquista, bensì la curiosità? Non la rivelazione, ma la relazione?
Le saline non domandano di essere comprese e il porto non domanda di essere amato. E la Zona — sia nella fantascienza che nelle infrastrutture slovene — non promette catarsi. Promette che vi sentirete un po’ persi e che è meglio che vi abituiate a questo. Entrare in questo spazio significa entrare volontariamente nella confusione. Non per risolverla, ma per rimanerci. Lasciare che l’alieno parli — oppure no — e ascoltare in ogni caso.
La curiosità ha avuto la meglio sulla paura.
Non abbiamo chiuso gli occhi.
Laura Amann Marìn (1986) è curatrice e architetto che vive e lavora a Vienna. Laureata al de Appel Curatorial Programme di Amsterdam e all'Accademia di Belle Arti di Vienna, attualmente è curatrice alla Kunsthalle Wien insieme al collettivo WHW (What, How & for Whom). Amann è co-fondatrice di Significant Other, uno spazio progettuale e una piattaforma curatoriale che si occupa delle sovrapposizioni tra arte e architettura. I progetti più recenti si concentrano rispettivamente sulla follia e sulla insanità come forme di conoscenza e sugli atti di gioia, intimità, desiderio e sensualità non che su come questi producano spazi di disobbedienza.