Giancarlo Sangregorio nasce a Milano nel 1925. Giovanissimo inizia a intagliare come artista dilettante nelle cave della Val d’Ossola (Lago Maggiore). Dopo aver completato la sua formazione al liceo classico, prosegue la sua formazione artistica presso l’Accademia di Brera a Milano, dove frequenta i corsi dello scultore italiano Marino Marini. Nel 1952 prepara la sua prima mostra personale a Milano. Questo è anche il periodo di viaggi studio all’estero, con frequenti soste a Parigi, dove successivamente apre uno studio. Tra il 1950 e il 1958 trascorre molto tempo in Versilia, dove si dedica alla ceramica e all’intaglio del marmo apuano. Oltre alle mostre personali, ha partecipato a importanti mostre collettive in patria e all’estero (Francia, USA, Messico, Argentina, Jugoslavia, Giappone, Belgio, Svizzera, Germania…). Le sue opere sono conservate in collezioni pubbliche e private in Italia e nel mondo. Lo scultore ha vissuto e lavorato a Sesto Calende (Varese, Italia), dove è morto nel 2013.

Lo scultore lombardo è considerato uno dei più importanti rappresentanti della scultura del dopoguerra in Italia, anche se non è riuscito a diventare famoso alla stregua dei suoi colleghi come Lucio Fontana, Enrico Baj o Mimmo Rotella. Sangregorio, curioso viaggiatore intellettuale, attratto dalle culture primitive, ricercava nelle sue creazioni plastiche il gioco dei pieni e dei vuoti, l’intreccio di materiali diversi e il rifiuto di regole di composizione rigide, il che ci fa sospettare l’influenza della corrente scultorea art informel. Nelle sue opere si percepisce l’ammirazione per la natura, per i suoi ritmi mutevoli e la conservazione dei tratti caratteristici dei materiali scelti, siano essi pietra, legno o vetro. Tutto quanto descritto sopra, può essere percepito anche nell’opera del simposio di Portorose. La scultura è costruita con frammenti diversi, come una specie di agglomerato, in cui sono visibili in alcuni punti i processi di lavorazione della pietra (una sequenza uniforme di forature e scanalature). Le strutture conservate della materia prima sono il discorso vivo della natura, che ha avuto bisogno di pochissimi interventi attenti da parte dello scultore, affinché la pietra grezza diventasse una scultura. Il messaggio dell’artista originale è quello di conservare la forma propria della pietra, senza forature, levigature o intagli eccessivi. La costruzione è dinamica e in movimento ed è visibilmente libera dal peso della gravità, creando l’impressione di una presenza leggera, quasi immateriale.