Anton Flego: Il viaggio di uno spirito preoccupato |
Galleria Loggia, Capodistria |
30 maggio 2019 – 18 agosto 2019 |
Inaugurazione: giovedì 30 maggio 2019, alle ore 19:00
GIOCA CON UN BAMBINO, 1975, terracotta patinata, 40 x 43 x 25 cm
DIREZIONE OPPOSTA, 2001, ceramica smaltata, 58 x 47 x 20 cm
BATTAGLIA TECNOLOGICA DEGLI OPPOSTI, 2015, pittura smaltata, 2r: 44 cm
Esco dall’abbraccio di Crono,
per rendere il tempo senza tempo,
minimizzare gli eventi,
per abbandonarmi all’idillio dell’eternità
recintato con un magico cerchio di pace.
(Anton Flego, 1988)
L’autore di questi versi è Anton Flego, scultore accademico e pedagogista d’arte che occasionalmente ha lavorato nel campo della scenografia e del design industriale. Egli definisce in modo poetico la sua visione filosofica e di conseguenza il suo modus vivendi. Flego si è laureato in scultura nel 1964 e da allora seguiamo il suo percorso creativo. In decenni di ricerca e sperimentazione di vari generi artistici e di acquisizione di nuove conoscenze ed esperienze si è dedicato alla scultura, alla pittura, al disegno e alla grafica. La sua opera è vasta e diversificata in termini di tecnica e temi, ci sono stati molti cambiamenti di contenuto nel corso della sua carriera, come per esempio la materializzazione più sincera e soggettiva degli eventi e l’espressione di esperienze e sentimenti contemporanei. Il Dott. Cene Avguštin ha scritto in occasione di una mostra di Flego tenutasi nel 1985 a Trieste: “Se l’arte vuole essere una sorta di ripetizione dell’uomo e delle sue azioni su un livello superiore, un trapianto dei suoi pensieri e delle sue emozioni nella pittura, nella materia e nella forma scultorea, allora le sculture di Flego fanno parte di lui e di tutto ciò che in essa vive, la crescita che si risveglia e muore, la forza che nasce e allo stesso tempo scompare.” Studiando il suo lavoro artistico durato più di mezzo secolo si intravede il suo mondo più intimo, che ci conferma che oggi siamo di fronte a un’opera estremamente soggettiva, incomparabile con le voci artistiche contemporanee, il che è certamente conseguenza della sua insistenza su un percorso artistico volutamente indipendente. Nel 1983, da artista affermato, come testimoniano numerose mostre personali e partecipazioni a collettive, scrive: “L’uomo, l’individuo, è come l’originale del modello per i cinque miliardi di persone che compongono il formicaio umano. La vita dell’individuo in questa moltitudine è un lampo unico e irripetibile di materia cosciente, nel moto morto del tempo cosmico. L’immagine dell’uomo, il suo temperamento, il suo carattere, tutto è diverso dai morti e dagli altri facenti parte della sua specie. Ed è questa consapevolezza della presenza unica, e allo stesso tempo della caducità, che dà origine allo stato d’animo di elevazione creativa e al desiderio di vita cosciente nella sua singolarità, per lasciare una traccia originale nello spirito, che è la realizzazione del significato misterioso della vita.”
Anton Flego ha acquisito le sue conoscenze scultoree di base presso l’Accademia di Belle Arti di Lubiana, dove si è laureato con il Professor Boris Kalin. Nel 1980 Andrej Medved scrisse sulla mostra personale dell’artista alla Galleria Loggia di Capodistria: “Poi, all’improvviso, è attratto dalla crescita, dalla forma vegetale. Una pianta è come un pensiero, come un albero che si erge nello spazio: un albero della vita la cui chioma si trasforma in una barca che ondeggia sulle onde. Le sculture di Anton Flego sono state influenzate da varie performance, dal fantastico Boshev alla poliedrica arte indiana. Il suo mondo espressivo e insolito diventa sempre più dinamico e ruota tra diverse fasi creative che si possono dividere in tre periodi: vegetale, astratto e futuristico, in cui l’uomo-macchina è in prima linea”.
Lo spiritus movens di Anton Flego è rimasto ininterrotto per decenni nell’infinito tesoro dell’inconscio archetipico, mitologico, collettivo, nella storia, nella letteratura, nelle memorie, nella natura, nel cosmo e in quei comportamenti, conoscenze ed esperienze che non si basano solo su quel che si vede con gli occhi. Nel processo creativo la rivitalizzazione interiore, il pensiero e il sentimento sono per lui molto importanti: la creazione gli è necessaria per materializzare i suoi stati psicologici più profondi e primordiali attraverso un rituale speciale in cui presente e passato sono costantemente intrecciati, le storie di tempi lontani e dei miti si fondono con la realtà del presente, con micro e macro mondi. Le opere visive di Flego diventano portatrici dell’intima confessione di un artista curioso e sensibile che si rivolge allo spettatore con personaggi e storie riconoscibili e con domande universali sul ruolo dell’uomo, dell’umanità e sulla loro esistenza nello spazio e nel tempo, nella concretezza dell’universo e nell’aldilà. Ovunque incontriamo elementi narrativi e figure che sono metafore, portatrici di significati simbolici: ci catapultano in un’atmosfera archetipicamente elementare e miticamente misteriosa. Il mondo sottomarino, la flora e la fauna sono suoi soggetti, il mondo che crea è talmente bello da risultare fiabesco. Lo scultore ha reso omaggio a questi temi con un verso nel 1988:
Nelle profondità del mare, la vita è come un merletto,
immerso in una misteriosa nebbia d’ombra,
dove i colori sono anche pace,
dove luce e ombra sono anche pace.
E se il ritmo,
nega sé stesso.
Le opere di Flego mettono in discussione il rapido sviluppo della tecnologia e i conseguenti cambiamenti che ne derivano nella società e nelle relazioni umane. Il Dott. Cene Avguštin scrisse in un volantino alla mostra a Trieste nel 1985: “Flego segue gli occhi ammiccanti dell’epoca per trovare un terreno solido. Le vecchie fondamenta sono state demolite, quelle nuove non sono ancora state costruite. Il nostro tempo non è l’età delle piramidi, è l’età delle ruote che girano”. La scopo nello sviluppo di molte nuove macchine, robot e altri dispositivi ad alta tecnologia, frutto della mente umana negli ultimi decenni, non è più solo quello di aiutare le persone, gli uomini infatti sono diventati sempre più dipendenti da loro. Già negli anni ’80 Flego, con le sue creazioni presentate al pubblico in diverse mostre, materializzava la sua critica e il suo manifesto sull’era contemporanea, la cui rapida crescita della tecnologia stava trascurando l’uomo. Andrej Medved scrisse in un volantino (alla Galleria Loggia) nel 1980: “Ritmo selvaggio, forze di potere ed energia incrollabile che ci eleva al di sopra della vita quotidiana: una bicicletta e una macchina diventano un corpo che non conosce sofferenza. Ma c’è ancora il dubbio. Il ritorno alla natura, alla “produzione naturale”, una crescita silenziosa non è possibile. Questo ritorno è un’illusione nostalgica, una distorsione romantica che non ha posto. “
Anton Flego è maggiormente noto al pubblico come ceramista, a proposito della ceramica ha affermato (Primorske novice, 20 settembre 1983): “la ceramica richiede un sentimento scultoreo e pittorico, la coesistenza di entrambi. È una forma d’arte esigente che combina forma e colore, funzionalità ed espressione pura. Tutte queste caratteristiche si intrecciano: a volte è il dipinto ad accompagnare la forma, altre volte la forma si crea grazie al dipinto, a volte è la forma stessa o il colore a dominare. È proprio qui che risiede il suo fascino.” L’autore ha acquisito le sue prime conoscenze in materia nel dipartimento di ceramica della High School of Design e si è dedicato a tutto tondo alla ceramica e alla scultura dopo la laurea. L’impastare e modellare l’argilla, l’essiccazione, la cottura, le infinite possibilità espressive ed estetiche, lo hanno talmente sfidato da far diventare la ceramica il suo principale interesse e impegno per decenni. È noto che nel Neolitico l’uomo apprese le proprietà e le leggi della terra e la trasformò in utensili: molti ritrovamenti archeologici di quest’epoca, come anche successivi, testimoniano che il campo della ceramica era ed è ancora una costante nella nostra storia. Anticamente, per necessità di sopravvivenza, prevaleva l’utilità della ceramica, ma c’è sempre la volontà umana di abbellire gli oggetti di uso quotidiano. Per ogni creatore, però, il processo stesso è una sfida: l’argilla è un materiale malleabile e maneggevole, si arrende alle abili mani di uno scultore che ne modella la forma desiderata, seguita dalla fase di cottura in fornace, che trasforma la materia molle in forma solida e permanente. Questo lungo processo richiede grande precisione, conoscenze e abilità speciali, relative all’umidità dell’argilla grezza, alla temperatura di cottura, al restringimento della materia, alla smaltatura e ricottura. È un processo impegnativo perché l’artista deve anche saper padroneggiare una certa conoscenza della chimica, della fisica e di altre scienze. Flego si ispira costantemente a questa complessa tecnica per esplorare, provare e scoprire vari approcci tecnici (dall’antica tecnica dell’encausto, alla classica velatura a pigmenti e altre), che allo stesso tempo gli danno l’opportunità di materializzare la sua confessione più intima e il suo messaggio. La sua ceramica, indipendentemente dalla forma, è unica ed è portatrice del suo personale dialogo interiore. Già nel 1983 scriveva in un volantino di una mostra alla Galleria Alga di Isola: “le ceramiche artistiche sono uniche. Sotto le mani del designer e la volontà del creatore la materia prende forma e colore, ma l’aspetto finale gli viene dato dall’alta temperatura (in fase di cottura) perché nulla può essere riparato o modificato nel forno a 1000°C. Ogni tocco, nella forma o nella pittura, è una grafia esatta della mano “diretta" del designer”.
Le ceramiche di Flego esposte alla mostra nella Galleria Loggia sono di epoche diverse, realizzate con tecniche e forme differenti: osserviamo superfici goffrate o membrane lisce con una luminosità particolare, siamo sorpresi da lussuose e vivide pitture o superfici monocrome di color mattone. Al visitatore è richiesto di avvicinarsi alle opere con attenzione, lentezza e il rispetto che meritano questi lavori magistralmente realizzati e portatori di conoscenze scultoree e pittoriche della tradizione e delle conquiste della civiltà passata. In queste ceramiche si materializza l’intima lode dell’autore alla natura, alla vita e a tutto ciò che è bello e, allo stesso tempo, è un invito a noi e alle generazioni future a preservarla.
Anton Flego (1938, Novo mesto) si è diplomato nel 1964 all’Accademia di Belle Arti di Lubiana presso il Dipartimento di Scultura con il prof. Boris Kalin. Vive a Capodistria dal 1948 e dalla laurea alla pensione ha lavorato come pedagogista d’arte. Realizza le sue opere in ceramica, scultura e pittura e occasionalmente ha lavorato come designer industriale e nel campo della scenografia teatrale.
La mostra è accompagnata da una pubblicazione con una presentazione dell’opera di Flego e testo della curatrice della mostra Nives Marvin, insieme ad una sua biografia (scritta da Nives Marvin) pubblicata per la prima volta.
Info: Nives Marvin, 041 630 689, nives.marvin@obalne-galerije.si