Achiam (Ahiam Shoshany), nato nel 1916 nella località di Beit-Gan (oggi parte di Yavne’el in Galilea) ha sostituito l’istruzione di base in agronomia con l’esperienza lavorativa da scalpellino nelle cave di Gerusalemme. Alla fine degli anni ’50 del secolo scorso ha trascorso un periodo di studio a Parigi, dove ha realizzato delle sculture con pietra di scarto (anche in stile naif). Questo periodo è stato caratterizzato dalla frequentazione di famosi artisti come Dubuffet, Dalì, Zadkine, Picasso e Brancusi e dalla partecipazione a numerose mostre, che gli sono valse anche importanti riconoscimenti, tra cui il Grand Prix des Beaux-Arts a Parigi nel 1965. Troviamo le sue sculture pubbliche in Israele, Austria, Slovenia e Francia. Ha vissuto e lavorato nella città francese di Sèvres, dove è morto nel 2005.
Lo stile di Achiam, caratterizzato da forme figurative schematiche e semplificate, si ricollega al linguaggio estetico pulito dello scultore romeno Constantin Brancusi. Anche questa scultura, dedicata a tutti i caduti per la libertà, parla della forza espressiva primaria, senza tempo, del linguaggio artistico arcaico. Cogliamo la sofferenza, il dolore esplicito del sofferente, nel profilo della grande testa distesa con le orbite vuote e la bocca orribilmente spalancata, come un grido muto, che risuona visivamente nello spazio e incatena subito lo sguardo dell’osservatore quando entra in questa parte del parco circondata di cipressi. La testa poggia su un massiccio piedistallo, il che le conferisce la necessaria grandiosità e il pathos di un monumento commemorativo.